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La Fondazione Banca del Monte di Lombardia vi apre le porte.
Nella Gallery è possibile scoprire le preziose stanze e le meravigliose opere custodite dalla Fondazione attraverso un rinnovato archivio digitale.
Un percorso che permetterà per la prima volta al pubblico di entrare in contatto con artisti e opere dal grande valore storico grazie a un tour virtuale all’interno dello prestigioso Palazzo Brambilla.

Cristo nel sepolcro

Autore: Francesco de Tatti
Titolo: Cristo nel sepolcro
Anno di realizzazione: 1518 ca, XVI secolo
Tecnica: olio su tela
Misure: 72 x 52

La bella tavola è inserita in una elaborata cornice ottocentesca intagliata e dorata che lascia immaginare con quanta cura sia stata conservata, probabilmente per quell’aria leonardesca che ne ha costituito per secoli l’elemento di distinzione. La scena di Cristo emerso dal sepolcro nell’atto di mostrare i segni dei chiodi e la ferita del costato è ambientata in una grotta che ricorda il paesaggio della Vergine delle rocce di Leonardo; il motivo delle due aperture nella grotta, tuttavia, è desunto da una notevole pala di Bernardo Zenale, dipinto nel 1510 per la Chiesa di San Francesco Grande a Milano, che costituisce un riferimento cronologico sicuro per questo dipinto. Dalle due aperture si possono vedere in lontananza due episodi correlati alla scena principale: a destra il Calvario con le tre croci, quella centrale priva del corpo di Cristo, e a sinistra l’apparizione del Risorto alla Maddalena. La presentazione del Cristo di Pietà è da intendersi come cronologicamente compresa entro questi due episodi, anche se di fatto nel racconto evangelico il corpo di Gesù morto mai si erge sul sepolcro per offrirsi alla preghiera: dunque tale immagine è da ritenersi una forzatura o comunque una licenza iconografica per la devozione privata. Ritenuta in passato opera di Bernardo Zenale, (taluni ancora oggi non lo escludono) la tavola è oggi attribuita a Francesco de Tatti, un pittore varesino che spesso prese a modello le opere del maestro di Treviglio. Il dipinto proviene dalla collezione del Monte di Pietà di Milano, poi passato a Bre, poi Ubi e ora Intesa Sanpaolo.

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Il Beato Bernardino da Feltre in un paesaggio con rovina

Autore: Anonimo lombardo
Titolo: Il Beato Beranrdino da Feltre in un paesaggio con rovina
Anno di realizzazione: secolo XVII
Tecnica: olio su tela
Misure: 196 × 136 cm

In questo solenne dipinto del Seicento lombardo, il beato Bernardino da Feltre è effigiato a figura intera in un paesaggio naturale, con una rovina antica al suolo, un pezzo di architrave marmoreo su cui è inciso il suo nome, mentre la sua persona si staglia sul cielo cupo. Con una mano regge un libro sacro, mentre con l’altra indica in cielo un’apparizione del Cristo in Pietà su alcuni monti, come se l’immagine prendesse forma in una nuvola. La raffinata invenzione rimanda simbolicamente all’attività di fondatore dei monti di pietà in numerose città italiane tra cui Pavia, dove il Beato visse e morì, e dove, in Santa Maria del Carmine, si conservano le sue spoglie. Di ambito latamente ceranesco, la tela appartiene alla prima metà del XVII secolo e si trova in ottime condizioni di conservazione dopo un recente intervento conservativo.  

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Compianto sul Cristo morto

Autore: Antonio Mantegazza
Titolo: Compianto sul Cristo morto
Anno di realizzazione: secolo XV, seconda metà
Tecnica: Marmo
Misure: 61 × 60 cm

Il bassorilievo raffigura l’episodio del Compianto sul Cristo morto ed è ambientato in una affollatissima scena articolata su più livelli. In primo piano, al centro, è seduta la Madonna che accoglie sulle ginocchia il corpo del figlio; è il Vesperbild, cioè il momento in cui la Vergine piange il Figlio, morto la sera del venerdì, prima di procedere alla sua sepoltura. Ai suoi fianchi, inginocchiate, si trovano la Maddalena che sostiene i piedi del Cristo e un’altra Maria che gli sorregge la testa. Dietro si riconoscono Nicodemo (a sinistra), San Giovanni evangelista (a destra) e altre figure di dolenti. Sullo sfondo si intravedono la collina del Golgota con la croce e, a destra, la spelonca col sarcofago che accoglierà il corpo di Gesù. Per ragioni stilistiche la critica riconosce il bassorilievo ad Antonio Mantegazza, scultore attivo nella seconda metà del Quattrocento nel cantiere della Certosa di Pavia, luogo dal quale non è improbabile che l’opera possa provenire. La lastra è probabilmente in marmo di Candoglia, circostanza che potrebbe suggerire una provenienza collegata con le uniche due imprese per le quali era stato concesso l’uso di quel materiale: il Duomo di Milano e, appunto, la Certosa di Pavia. L’opera proviene dalla collezione del Monte di Pietà di Milano, poi passato a Bre, poi Ubi e ora Intesa Sanpaolo.

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Gonfalone della Banca del Monte di Milano 

Autore: Anonimo lombardo
Titolo: Gonfalone della Banca del Monte di Milano
Anno di realizzazione: secolo XVI
Tecnica: tempera su tela
Misure: 262 × 193 cm

Con tutta probabilità, in origine la tela era lo stendardo del Monte di Pietà di Milano ed è pertanto una preziosa testimonianza dell’istituto di pegno e della sua attività. Realizzata a tempera direttamente sulla tela, senza una preparazione del supporto, perché fosse leggera e maneggevole, era portata in processione per la città; le continue movimentazioni hanno contribuito all’assottigliamento e alla perdita di materia pittorica. Da un punto di vista iconografico il dipinto è diviso in due parti: la zona alta raffigura una piccola altura (il “Monte”) occupata dal sepolcro di Cristo che si erge fino alla cintola, avendo dietro di sé la croce. Ai piedi del monte si situano tre donne a sinistra e tre uomini a destra: si tratta dei deputati della Confraternita, inginocchiati in atteggiamento devoto. Nella parte inferiore della tela è rappresentato invece il banco dei pegni con tre ufficiali e un inserviente, intenti alle operazioni di cambio. Di spalle, in primo piano, alcuni uomini e donne portano al Monte i loro beni, collane, gioielli, tessuti, e ne ottengono in cambio del denaro. Al momento non si conosce l’autore della tela, ma i costumi di alcuni personaggi permettono di datare il dipinto alla fine del Cinquecento. Il dipinto proviene dalla collezione del Monte di Pietà di Milano, poi passato a Bre, poi Ubi e ora Intesa Sanpaolo.

 

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Paesaggio di campagna pavese

Autore: Romeo Borgognoni
Titolo: Paesaggio di campagna pavese
Anno di realizzazione: 1930 / 1940, XX secolo
Tecnica: olio su tela
Misure: 150 x 200 cm

Sebbene i soggetti prediletti di Borgognoni siano la città di Pavia con le piazze e i vicoli, non mancano nella produzione del pittore dipinti in cui si dedica alla campagna. Questa bella tela rappresenta il paesaggio pavese in autunno, in una mattina di proverbiale nebbia. Una linea viola – tipica della fase matura dell’attività dell’artista – separa il cielo nuvoloso dalla pianura, attraversata da un corso d’acqua che conduce fino a un centro abitato in lontananza; a scandire la profondità, spiccano in primo piano tre betulle dal tronco sottile e altre due bilanciano la composizione sulla sponda opposta del rigagnolo. È evidente l’intento di Borgognoni di tradurre in immagini la percezione attraverso i sensi della natura, il fruscio degli alberi, l’umidità dell’erba bagnata. 

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Compianto sul Cristo morto

Autore: Vincenzo degli Azani da Pavia, (documentato a Palermo dal 1519 al 1557)
Titolo: Compianto sul Cristo morto
Anno di realizzazione: Prima metà del secolo XVI
Tecnica: olio su tavola
Misure: 45 × 62 cm

Il Compianto si compone di un gruppo principale con le tre Marie e Nicodemo, a cui si appaiano in secondo piano due ulteriori figure che approntano il sudario del sepolcro in cui adagiare il corpo del Cristo. La scena si svolge in un aspro paesaggio caratterizzato da rupi rocciose e lontananze azzurrate, di derivazione fiamminga. Forti gli echi del manierismo raffaellesco sia nei profili delle figure che nelle macchiature di colori accesi delle vesti, aspetti caratterizzanti della produzione di questo raro pittore pavese, noto tuttavia solo per la sua attività in Sicilia, dove si recò in seguito al sacco di Roma (1527) insieme a un altro lombardo allievo di Raffaello, Polidoro Caldara, a cui lo legano numerose somiglianze.

Sebbene redatto su una tavoletta rettangolare, il dipinto risulta incorniciato in ovale da una ghirlanda di fiori e foglie. Nell’angolo superiore sinistro compare il manico di un pastorale, irrelato con la scena e di dimensioni maggiori. Da tali dettagli si può presumere che l’opera sia un estratto da una sequenza di numerose storie (forse stazioni della Via Crucis) che in origine circondavano una pala d’altare al momento non identificata. Esempi di tale tipologia compositiva sono frequenti nell’opera di Vincenzo degli Azani, anche tra le sue realizzazioni più note come la pala della Madonna del Rosario del 1540 per la Chiesa di San Domenico a Palermo. Preziosa la cornice lignea intagliata, con impiallacciatura di tartaruga.

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Moltiplicazione dei pani e dei pesci

Autore attivo nell’area di influenza della scuola pittorica lombarda in particolare Cremonese
Titolo: Moltiplicazione dei pani e dei pesci
Anno di realizzazione: secolo XVII
Tecnica: affresco trasportato su tela e montato su telaio in legno tamburellato
Misure: 300 x 600 cm

 Il vasto affresco illustra un’iconografia piuttosto rara, quella del miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci narrato nei Vangeli, che per la sua valenza salvifica e assistenziale ben s’addice agli intenti comunicativi della Chiesa della Controriforma e delle istituzioni caritatevoli. L’ambito di esecuzione è quello della pittura lombarda del medio Seicento, con una possibile connessione con la corrente del classicismo barocco del pittore milanese Antonio Busca e dell’Accademia Ambrosiana. Nel gruppo di solenni figure maschili che si raduna intorno a Cristo sembra inoltre di ravvisare un ricordo degli Apostoli del Cenacolo vinciano, da cui sono riprese alcune fisionomie e pose già divenute riferimenti autorevoli nell’arte lombarda del tempo.

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Il Beato Bernardino da Feltre con un angelo

Autore: Anonimo
Titolo: Il Beato Bernardino da Feltre con un angelo
Anno di realizzazione: secolo XVII
Tecnica: olio su tela
Misure: 90 × 70 cm

Il Beato Bernardino da Feltre è raffigurato a tre quarti di figura, reggente un globo con asta a croce e uno stendardo raffigurante il Cristo in pietà, allusione ai Monti di Pietà fondati dal predicatore in numerose città italiane nella seconda metà del Quattrocento a contrasto del fenomeno dell’usura. Egli è in atto di benedire ed è accompagnato da un angelo che regge una sacra scrittura aperta dinanzi al Beato, a indicazione della parola di Dio che ne guida le azioni. L’opera sembra appartenere all’ambito lombardo e risalire all’incirca alla prima metà XVIII secolo. Per dimensioni e tipologia si configura come una tela di carattere devozionale privato. 

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Martirio di San Pietro da Verona

Autore: Paolo Farinati (Verona 1524-1606)
Titolo: Martirio di San Pietro da Verona
Anno di realizzazione: fine del XVI secolo
Tecnica: Olio su tela di lino preparata con gesso e colla – telaio a incastri estensibili
Misure: 266 x 157 cm

Si tratta di un importante dipinto cinquecentesco di area veneta a sviluppo orizzontale che raffigura l’uccisione del predicatore domenicano Pietro Rosini da Verona, avvenuta in un bosco presso Milano nel 1252. Il sicario emerge dalla selva afferrando il martire con una mano e pugnalandolo con l’altra, mentre il suo confratello tenta di fuggire ed egli scrive per terra prima di morire, col dito intinto nel proprio sangue, la parola “Credo”.
Dal punto di vista formale l’opera è stata accostata alla produzione del pittore Paolo Farinati, responsabile di una fiorente bottega a Verona nella seconda metà del Cinquecento. La sua cifra stilistica è quella di un manierismo di marca veronesiana arricchito da un vigoroso plasticismo michelangiolesco, il che lo porta, soprattutto dalla prima maturità negli anni cinquanta, a strutture corporee forti e dinamiche, con scorci complessi, e una gestualità eloquente. Come paragone per il tipo di soluzione compositiva realizzata in questo dipinto si può citare la grande tela con Mosè e le figlie di Ietro, del Museo di Castelvecchio di Verona, dove Farinati mette in scena una sequenza di movimenti violenti e diagonali comparabili con quelli dell’opera in questione. L’acceso cromatismo del dipinto, soprattutto nel fondo caratterizzato dai profili azzurri dei monti, dai gialli e rosa del cielo, fa anch’esso riferimento alla tradizione veneta del colore. 

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Marcita

Autore: Romeo Borgognoni
Titolo: Marcita
Anno di realizzazione: secolo XX
Tecnica: olio su tela
Misure: 112 x 90 cm

Più che un vero e proprio soggetto, la tela intrappola una impressione di campagna, una marcita all’imbrunire che, come molti altri scorci di gelsi, di salici, di fossi così spesso ritratti da Borgognoni, sono insieme paesaggi tipici del pavese e occasioni di meditazione. Mons. Angelini nell’introduzione alla monografia del pittore esplicita poeticamente questa duplice valenza di opere impressioniste realizzate en plain air e luoghi come veicolo di emozioni interiori, una poetica di profondo accordo dell’uomo con l’elemento naturale che lo circonda : “Ma quando ottobre spogliava le piante, e le campane della Certosa, di Borgarello, di Cascine sonavano fra le nebbie, e le rogge e i prati esalavano la loro malinconia dolce in un trillo di toni violetti, egli prendeva il cavalletto e i colori e usciva alla campagna a lavorare fra alberi, acque, case dimenticate tra i vapori e le avemarie. Così nelle sue tele, lenta sorgeva la musica del nostro paesaggio come l’acqua dalla fonte.” 

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